Intervista a Enrico Farnedi

Swing, fumetto, cantautorato poi ukulele, tromba, basso … Un poliedrico polistrumentista.

Questa intervista, la prima che pubblico nel 2015, nasce da una concomitanza di circostanze belle e fortunate. La prima riguarda il locale che ospita questa intervista: il Pappafico. Qualche giorno fa, il 30 dicembre, per festeggiare l’anno nuovo è arrivato l’annuncio festoso: il Pappafico riapre i battenti e ricomincia alla grande, solo “cento metri più a sud” del vecchio locale, in via Lungomare Deledda 8 e le sorprese saranno tante. Cervia e dintorni per quasi un mese, il mese di dicembre, hanno temuto che il locale simbolo ricreativo della città chiudesse per sempre! Con quel luogo si sarebbe estinto un pezzo di storia della città. Un pezzo di musica, divertimenti e bevute con il mitico proprietario dalla “barba ed esperienza lunga”, Lorenzo. Il locale è parte dell’ identità della Romagna. Infatti da vent’anni è un luogo che si è fatto volere bene, anche per la proposta di musica coraggiosa: “locale e di qualità!”
Quest’ultima intervista, realizzata nel vecchio locale Pappafico, mi sembra perfetta per raccontare questo periodo dell’anno perché questa storia; tra roghi della vecia e lancio di oggetti vecchi dalle finestre  è perfetta per dare vita al nostro rito di passaggio: dal vecchio al nuovo locale Pappafico. Con Enrico Farnedi, un amico del locale che, come tanti altri artisti, ha messo la sua passione al servizio di questo luogo proponendosi in diversi eventi e in diversi “formati”… per esempio come cantante bassista dei Big! Bam! Boo! , come trombettista swing dei Goodfellas o come cantautore ukulele e voce nel suo progetto solista, solo per dirne alcuni. Enrico, puoi raccontarci il tuo legame con il Pappafico?

Certo! Sono molto legato a questo posto. Io sono un abitudinario dei pranzi della domenica del Pappafico e spero (e credo) che questa tradizione continui. Qui succede sempre qualche cosa di semplice e al contempo speciale, in un’ atmosfera familiare, per me perfetta.  C’è sempre Lorenzo, il proprietario, che passa tra i tavoli, che ti porta le noci o un mandarino, per esempio. Lorenzo è un personaggio con la “barba lunga”. Con tutti noi “della zona”, ha condiviso tante serate speciali in questi anni … Sono contento di essere io ad avere il privilegio di raccontarti questo marasma di storie e suppellettili che diventano un tutt’uno in questo storico locale, il Pappafico. In una foto, là di là, ci sono anche io, nel 1998 con i Goodfellas… ahi!
Ho festeggiato diverse volte il mio compleanno qui. Una di queste volte eravamo una trentina di persone e quindi chiamo Lorenzo un po’ in anticipo per metterlo al corrente che saremmo arrivati.
Ci accordiamo sul menu e, quando arriviamo al dolce, io chiedo:  “Lorenzo, ci sono le pere volpine?”
Le conosci? Sono dei frutti quasi dimenticati, sono pere piccolissime e dure, tondeggianti. Mentre cuociono, si aggiunge lo zucchero, che piano piano si scioglie, formando una crosticina buonissima, alla fine si aggiunge la crema …
Lorenzo tace qualche secondo, poi tuona: “È  la richiesta più deficiente che mi abbiano mai fatto!” .
E  l’abbiamo trovato in tavola questo dolce ormai dimenticato, con “buona pace” dei miei amici, che considerano questo dolce “un mangiare da vecchi all’ospizio” e preferiscono quelli storici del Pappafico, il mascarpone o il salame al cioccolato.
Quindi, per tornare  al Pappafico, devo dire che è un posto importante a cui sono molto legato. Un posto formato da persone bellissime che sicuramente si ritroveranno grazie alla “reincarnazione” del locale. D’altronde, quando un amico trasloca dopo tanti anni, dispiace per la casa vecchia, ma vuoi non andarlo a trovare in quella nuova?
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Infatti, quando il proprietario Lorenzo ha annunciato che il locale avrebbe chiuso e ha chiesto: “Qualcuno vuole un pezzo del Pappafico?”, orde barbare di amici affezionati sono accorsi a prendere un pezzo dell’arredamento; quel “marasma di storie e suppellettili”. Gli ultimi giorni il locale era affollatissimo e su facebook piovevano messaggi di supporto e affetto. Anche Enrico si è portato a casa come souvenir la foto, sopracitata, dei Goodfellas del 1998. Si è detto “pronto a restituirla se Lorenzo lo chiede”.
Dice Enrico: “Sono molto legato all’annuale serata al Pappafico dei “Goodfellas”  ma sono un po’ arrabbiato perché per il 23 Dicembre 2014, avevo già pensato di proporre un goliardico concerto natalizio con l’ukulele, come era successo nel 2013.  Già mi consideravo “un classico”, quando quel maledetto di Lorenzo ha annunciato che avrebbe chiuso!”.
Swing, fumetto, cantautorato poi ukulele, tromba, basso … Bisogna dire che, con Estrema Riluttanza, Enrico è secondo me un  “mobilitatore sociale quotidiano”. Caro Enrico, puoi raccontarci del tuo approccio alla musica?

Io ho un background completamente diverso rispetto a molti altri artisti, soprattutto perché non ho gli ascolti classici (più in generale non sono mai stato dentro nessun genere) : non sono mai entrato nella scena pop, nella scena grunge o nella scena rock. Io, da ragazzino, ascoltavo e compravo vinili jazz e studiavo molto tra liceo, università e conservatorio. Ero sempre in treno, quindi non è stata una scelta vera non entrare nelle mode ma una questione di mancanza di tempo.
La tromba poi è uno strumento complicato; all’inizio devi proprio spenderci tanto tempo per buttare fuori qualche suono decente. In certe occasioni devi avere pazienza, devi avere tenacia e credere in te. E anche il tuo vicinato deve fare lo stesso. Se no rischi che ti esiliano per sempre o non ti salutano neanche più quando ti vedono per strada.
Dopo tanta fatica la prima cosa che feci con la tromba fu “Va bé, se proprio te lo devo dire”, una canzone del primo Vasco Rossi. La ricordi? Paraparpapapapà.
Poi ho ascoltato molto Lucio Dalla perché piaceva alla mia famiglia e quindi avevamo tutti i suoi dischi a casa e si cantava a squarcia gola i brani di Lucio Dalla oppure de “La voce del padrone” di Battiato. In effetti, direi che non è facile il rapporto con il mondo della musica … per i vicini di casa Farnedi!
Ho sempre continuato il conservatorio dal 1988 fino al 2006. Quindi di solito uno si aspetta che con questo tipo di esperienze musicali non diventi un cantautore ma piuttosto a progetti strumentali o Jazz.
La mia evoluzione a cantautore è stata colpa e merito dell’ukulele, uno strumento che mi ha proprio cambiato la vita … Oltre che dal punto di vista musicale, anche dal punto di vista umano; perché l’ukulele è piccolo quanto invasivo: esiste infatti una setta legata a questo strumento. Poi, per esempio, quando Violetta Zironi è andata ad X factor con l’ukulele, mi sono trovato la bacheca di Facebook ricoperta di “Hai visto?” o “Guarda, come te!” o addirittura una mia amica mi aveva proposto come coniglietto rosa con l’ukulele nella famosa pubblicità di Galbusera ( un coniglietto tenerone rosa che io avrei fatto subito subito)
E così è uscito il primo album “Ho lasciato tutto acceso”, molto ukulele-dipendente. Questa primavera uscirà il nuovo album “Auguri Alberta” e sono molto felice di queste mie nuove canzoni. Speriamo di bissare il numero di date che ha accompagnato il primo disco, perché è una situazione, quella live, sempre divertente.

Io sono uno scribacchino di canzoni. E tu mi sei piaciuto tanto e sono venuto a cercarti per due motivi soprattutto. Del primo motivo abbiamo già parlato: è la gavetta musicale. Come gli artisti di una volta hai fatto una lunga gavetta, addirittura hai suonato con l’orchestra di liscio Castellina Pasi, tutti gli anni di Conservatorio, le collaborazioni, il polistrumentismo …

In effetti il polistrumentismo una volta era comune; nelle prime orchestre jazz ( che poi il jazz era solo una parte del repertorio) capitava spesso che chi suonava, per esempio il sax,  in alcuni brani suonava anche il violino, ma ora è diverso … c’è tanta specializzazione anche nel mondo della musica. In realtà la specializzazione è capibile perché, per suonare bene uno strumento effettivamente ci vuole tempo: io infatti ne suono tanti, non è detto che li suoni bene.

Il secondo motivo è appunto questo: il senso dell’umorismo. Anche come metodo di interpretare la realtà e questo ti permette di sfuggire da una certa retorica, quella del “salire in cattedra per insegnare” e questo ti fa sembrare locale e surreale. Mi viene in mente subito una canzone come “Vendemmia” che ha vinto il i premio Cà di Malanca per il miglior testo della nuova musica italiana dedicato alla Resistenza.  E’ una mia impressione? La cerchi questa via di fuga fantasiosa dalla realtà?

Intanto devo dirti che è una cosa che mi sento addosso caratterialmente, non mi ci vedo a fare una cosa ego-riferita o nel dare degli insegnamenti a qualcuno, a“salire in cattedra” come hai detto tu.
Poi una motivazione molto onesta è quella di piacere ad un pubblico, ma non ad un pubblico selezionato. Pochi sì, va bene, è un dato oggettivo, ma non a una “categoria di pubblico” … Fare un disco per intenditori vuol dire aver già gettato la spugna. Vuol dire non credere né in quello che fai, né in chi ti ascolta.
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Hai raccontato dei dischi che ti hanno influenzato “da piccolo”, quali sono stati i tuoi riferimenti culturali “da grande”?

Un disco che mi ha dato una forte ispirazione è “Ci vuole un fiore” di Sergio Endrigo. Un disco pazzesco. Un capolavoro che supera il passare del tempo. Un’accuratezza incredibile nelle parole e nelle interpretazioni, negli arrangiamenti e nella produzione. Non che voglia  mettermi sullo stesso piano della loro genialità, ci mancherebbe. Voglio solo dire che è un album bellissimo.
Un’ altra grande passione è quella per lo scrittore Kurt Vonnegunt, che ti consiglio, perché mentre lo leggi pensi che lo avresti voluto come migliore amico.

Mentre ci avviamo alla fine della cena, Lorenzo viene al nostro tavolo, per fare due chiacchiere. Io ho mangiato i  maccheroncini Pappafico. “Tutto veramente pessimo!” dice Enrico prendendo in giro Lorenzo che lo guarda, scuotendo la testa paterno.
Un mio amico burattinaio, Jacopo Orsolini,  mi ha rivelato che si ricordava di te ”perché avevi la faccia tipica del trombettista” in “tel chi el telun” di Aldo, Giovanni e Giacomo, eri lì con i Goodfellas, la “live band”scelta per quel grande spettacolo. Come sono stati, da allora, questi anni con i Goodfellas?

In quasi vent’anni la mia esperienza professionale è aumentata molto ma anche quella di tutto il gruppo.
Devo dire però che si sentiva che le cose sarebbero andate bene, che sarebbe stato divertente e ci saremmo presi tante soddisfazioni, soprattutto live. Pensa che la foto di copertina del disco “Salute!” non l’abbiamo fatta nella “little Italy” ma quasi, perché eravamo qui, al vecchio Pappafico.
Comunque uno dei momenti più intensi della mia carriera, fino ad ora (e mi vengono i brividi a pensarci), è stato durante la collaborazione con Cochi e Renato. Quando durante le prove degli spettacoli eseguivamo “Silvano” o “La vita l’è bela”; il gruppo era silenzioso perché si sentiva l’importanza “storica” di quel momento. Porterò sempre con me quella sensazione, perché Cochi e Renato erano dei miti per me, fin da piccolo.

Vai al sit0 http://www.enricofarnedi.it/

 

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