“Un giorno, mentre sostavo alla locanda del Tabarro in Southwark, pronto a mettermi devotamente in pellegrinaggio per Canterbury, ecco capitare verso sera una brigata di ben ventinove persone, gente d’ogni ceto trovatasi per caso in compagnia e tutti pellegrini che intendevano recarsi a cavallo fino a Canterbury. Camere e stalle erano grandi, e perciò fummo alloggiati nel migliore dei modi.”
Canterbury Tales, titolo originale della raccolta di racconti di Geoffrey Chaucer, nato a Londra tra il 1340 e il 1345, racconta di una esperienza vissuta personalmente.
Ecco l’assurda visione dei comportamenti degli uomini con la loro emotività ed il loro indistruttibile egoismo.
L’oste Harry Bailey “fece a tutti grande accoglienza e, senza perdere tempo, ci sistemò per la cena, servendoci le pietanze più squisite; il vino era forte e noi lo bevemmo volentieri. Era proprio affabile con tutti, questo nostro Oste, degno di fare il maggiordomo di palazzo. Era un uomo grande e grosso, con gli occhi sporgenti, il miglior cittadino che esistesse a Cheapside: franco nel parlare, saggio, ben istruito, non mancava certo di virilità ed era per di più un vero bontempone.”
Poi decise di unirsi ai pellegrini e suggerì che ognuno di loro raccontasse due racconti all’andata e due al ritorno.
Opera incompiuta in cui l’autore in modo apparentemente passivo riporta una rappresentazione della realtà in modo schietto e ironico.
Tutto inizia “ nell’ottima osteria del Tabarro, attigua a quella della Campana”.
Si introduce così, apparentemente innocua.