“L’essenziale è invisibile agli occhi” ma la fortuna aiuta a vedere. E la nostra danza degli incontri straordinari continua tra poesia, musica, gastronomia e bellezza, con un grande maestro: Eugenio Bennato. La situazione è perfetta. Siamo nel contesto del #nuovoMei 2015, che, per aprire una nuova rotta della sua lunga storia, ha veramente portato a Faenza, grazie all’ideatore del Mei Giordano Sangiorgi, il meglio della musica italiana, animando la città in una grande festa, tra artisti emergenti e musicisti di lungo corso, tutti accomunati dalla passione per l’arte. Qualche nome? Rondelli, Basile, Flavio Giurato. Eugenio Bennato è l’artista che ha contribuito, dagli anni settanta in poi, alla contaminazione e alla crescita della musica del sud, di quel “ritmo di contrabbando”, per citare una sua meravigliosa canzone, che è partita alla conquista di tutto il mondo. Entriamo nelle piccole e incredibili stradine che solcano il centro storico di Faenza mentre ci rechiamo all’ Osteria della Sghisa, un luogo imperdibile per chi viene qui, perché da molti anni incoraggia la musica, con concerti straordinari. E come tutti i luoghi significativi è crocevia di incontri, idee e sperimentazioni. Stella ci aspetta e ci mette subito a nostro agio con una meravigliosa ospitalità. Mentre camminiamo parliamo di Faenza, Eugenio ne è affascinato:
Mi piace questa città a dimensione d’uomo, io abitavo a Reggio Emilia, sono sempre stato un po’ nomade, ho viaggiato molto ma ho avuto una casa lì per anni. Ogni mattina accompagnavo la bambina più piccola a scuola in bicicletta … una bella comodità.
Ora abiti a Napoli?
Sì, davanti al golfo e abbiamo un panorama bellissimo.
Siamo quasi arrivati. Racconto ad Eugenio la mia idea di guida di enogastronomia musicale: la tavola e la buona musica viaggiano insieme. Gli racconto che ho girato un po’ alla ricerca di ristorantini caratteristici e artisti. Intanto siamo alla Sghisa. Ci accomodiamo, vino rosso e specialità faentine.Vorrei sapere se ci sono dei luoghi importanti che hanno contribuito alla nascita del tuo amore per la musica.
Il luogo più importante, negli anni ’70, è stato il teatrino sperimentale che era un punto di incontro alternativo rispetto al teatro classico e ai locali dove si faceva musica in quegli anni. C’erano teatri sperimentali a conduzione trasgressiva e demenziale, degli scantinati che venivano dipinti dai pittori emergenti e qui i giovani si incontravano e facevano teatro di avanguardia, poi la sera si organizzavano degli spettacoli. In questi luoghi c’era un incontro molto creativo perché si avvertiva una vocazione carbonara nel ricercare qualcosa di originale, di diverso.
A Napoli?
Io mi riferisco a Napoli, ma c’erano anche a Roma e in altre città … Nella civiltà globalizzata ci sono sempre luoghi della tradizione importanti che resistono all’assalto. Ora siamo in una cantina di Faenza costruita con mattoni, beviamo un bicchiere di vino Sangiovese a km 0 e mangeremo gli affettati locali, tutti prodotti gastronomici locali. Sono segnali forti, di resistenza al fast food. Così io dico la slow music resiste alla fast music, la slow music fatta di chitarre che appartengono alle nostre campagne e alle nostre colline, di voci che rimbombano di valle in valle. Diciamo che io da ragazzo sono stato attratto da questo vagare di luogo in luogo. E’ stata la mia formazione.
In un’intervista hai raccontato le campagne oltre Napoli, un mondo fatto di persone importanti, carismatiche ma spesso sconosciute …
La mia non era un’attenzione intellettuale nel senso snobbistico. Quando dicevamo: andiamo al Gargano a sentire la tarantella, la mia era un’attenzione estetica. Quando andavo al Gargano ci andavo perché quelle voci mi risvegliavano un’ energia interiore straordinaria. Sai, esiste un meccanismo all’interno della creatività dell’arte che, se ci sono dei presupposti intelligenti e sani, il prodotto diventa un’opera, questo avviene al di là delle progettazioni industriali. Lì esistevano delle opere viventi, bisognava andare a conoscerle.
Ho la sensazione che la tua esperienza sia partita da un legame antico con la musica del sud Italia e adesso con Taranta power si stia allargando alla musica di tutto il mondo, quanto è importante questa contaminazione?
Innanzi tutto ti dico che intanto sto vivendo un sogno che si è realizzato, perché vedere centinaia di migliaia di giovani, ma anche persone di tutte le età, che vanno alla ricerca delle loro radici e le vivono in maniera attenta, cioè in maniera contemporanea, non come nostalgia del passato, io penso che sia una proiezione verso il futuro partendo da qualcosa che ci appartiene. La strada giusta. Il primo risultato di Taranta power è diventare internazionali perché, paradossalmente, quando suoni una chitarra partendo dalla profondità tu diventi internazionale perché quella chitarra battente ha diritto di entrare nella world music mentre quando suoni una chitarra elettrica che va a rimorchio dei modelli anglo-americani tutt’al più quella musica rimane nell’ambito locale.
Oggi la taranta è presente nel mondo ed ha un ruolo di primaria importanza in quella che viene definita musica etnica. C’era una tarantella fatta di fiocchetti colorati tricolori, oggi invece c’è una musica di tamburello rosso di sangue vivo che rappresenta un’energia potente e trasgressiva sia a nord che a sud dell’Italia. Ovviamente la cosa parte dal sud perché il sud è storicamente penalizzato ma per certi versi privilegiato per la capacità di mantenere viva la sua cultura tradizionale , questo nella Basilicata dei maghi e delle fattucchiere o nella Puglia dei guaritori.
In quel momento entrano alla Sghisa, scendendo le scale, delle belle ragazze, vestite con lunghe gonne. Una di loro si ferma a guardare Eugenio, silenziosa. Lui la riconosce e le chiede “Dove ci siamo visti?”. “ Sono un’ insegnante di tarantella ci siamo conosciuti ad un festival di musica popolare”. Questa musica, quest’energia, racconta una tradizione antica, incontri importanti.
Una scuola analogica, in opposizione al correre di questi tempi.
Non è esattamente così. Io sono sempre follemente proiettato in avanti, quei tradizionalisti che ora storcono il naso quando la tradizione si contamina, venti anni fa non consideravano la Taranta o non ne avevano capito l’importanza .Il rischio, credimi, sarebbe stato l’estinzione di questa musica.
Vent’anni dopo “La Notte della Taranta” è il più grande festival d’Italia e una grande rilevanza mediatica ne è conseguenza. Quindi per te è positivo portare i grandi nomi al festival, ti faccio l’esempio di Ligabue che canta Certe notti ,a Melpignano?
La tradizione vive solo se si rinnova,quello che non si rinnova viene rinchiuso in un museo. La taranta non è rinchiusa in un museo ma è in una piazza davanti a 150 mila persone . Non ho sentito Ligabue ma il fatto che Ligabue vada lì è positivo perché è lui che va a confrontarsi con quella realtà. Ciò non sarebbe stato possibile 20 anni fa. Negli anni ‘60 Pasolini scriveva l’articolo sulle lucciole dicendo che le lucciole non ci sono più, si riferiva alle favole, ai dialetti. Fare un festival come quello di Melpignano comporta dei rischi che però sono preferibili alla stasi totale degli anni ‘80. Negli anni ‘70 ho fondato Musicanova e ho continuato come un folle a fare una proposta, a dare un segnale che per fortuna è stato raccolto da quei 150 mila turisti, che magari non capiscono nulla di musica, ma vanno lì e ballano dando identità alla nostra cultura. Poi è ovvio che spetta agli artisti rendere creativa quella operazione. Il fatto che Ligabue vada lì è un bel segnale di contaminazione. Se i neri d’Africa non fossero arrivati in America, negli Stati Uniti non sarebbero nati i gospel , il blues, il rock.
Alfio Antico mi ha raccontato che l’hai incontrato mentre suonava sperduto in mezzo ad una piazza a Firenze …
Alfio è un cane sciolto, una scheggia impazzita, che rappresenta tutta la potenza di secoli di storia che sono racchiusi in un personaggio inarginato, un pastore errante delle montagne che matura una tecnica immensa di tamburello, ma non solo di quello, di vita direi. Alfio Antico è l’espressione classica della potenza del sud, la scuola se la fa sulle proprie nottate passate all’aperto a suonare mentre il gregge lo segue. Questo è un fenomeno miracoloso, dalla profonda Sicilia viene fuori un personaggio che è un artista, perché se lui tocca il tamburello, anche solo un tocco leggerissimo, nessuno riesce a dare un tocco come lui. Se lo vedi salutamelo ma non dirgli che ho detto queste cose di lui.
Da tanti anni racconti della migrazione. Si leggono cose aberranti sui social per la paura dell’invasione dello straniero, pensi ancora che la tua sia una musica manifesto?
Oggi più che mai, Andrea! Anni fa ho scritto Che il Mediterraneo sia, introducendo per la prima volta nella mia discografia una voce araba. E’ la descrizione della realtà attuale, è ovvio che questa situazione porta una serie di problemi ma anche fatti positivi che creano una contaminazione che porta creatività. Dobbiamo sprovincializzarci non fare il contrario. La migrazione ci porta anche una grande ricchezza, il rinvigorimento della nostra cultura, una contaminazione positiva.
Ci vuole un lavoro culturale, quindi è importante il ruolo dell’ artista. Ci sono per te delle linee guida, un’ etica che un artista deve seguire?
Io seguo un filo. Quando ho fondato Taranta Power io mi sono voluto opporre al bombardamento mediatico delle multinazionali. Dobbiamo fare fronte comune nel Mediterraneo perché se io alleo il tamburello salentino ad uno strumento marocchino io divento più forte. Ho fatto in tempo a conoscere Matteo Salvatore e a farlo conoscere e amare anche oggi, dopo 10 anni che non c’è più. Ho fatto in tempo a far conoscere la chitarra battente quindi un piccolo miracolo con me è stato fatto. La musica pur essendo eterea e impalpabile ha una funzione importante. La musica popolare è sopravvissuta al sud a causa di motivi legati ad eventi che fanno parte della vita di un paese. Per esempio in Calabria, la ròta, la ruota in cui c’è un mastro di ballo che dà le regole. Questa festa ancora oggi si svolge e, per supportare la danza, ci vogliono musicisti che sappiano suonare la tarantella calabrese. La musica popolare per sopravvivere deve come sempre inserirsi nella realtà.
“Eugenio dice che io sono rinnegato, perché ho rotto tutti i ponti con il passato. Guardare avanti sì ma a una condizione che tieni sempre conto della tradizione”.
Cantava Edoardo Bennato, in “Rinnegato”. Mi sembra che da quello che dici sei molto attento al futuro e partecipe dell’innovazione …
Infatti in quel brano si avverte la grande forza dell’ironia di mio fratello!