Intervista al Maestro Corrado Celada e Maria Cristina Nascosi

La fede nella musica è salvifica e unificatrice

“L’ospite non volge mai le spalle alla porta” mi dice il Maestro Corrado Celada.
“Ogni parola che pronuncia è un insegnamento” prosegue Maria Cristina Nascosi. Una grande gratitudine mi avvolge perché è Maria Cristina che mi ha permesso di aprire questa porta e trovarmi a tavola con lei a casa del Maestro Celada. Maria Cristina Nascosi è una studiosa che ha fatto della sua vita una continua e instancabile ricerca sulla cultura popolare, lasciando tracce importanti del suo lavoro in innumerevoli opere di cui è autrice e curatrice. Solo per citarne alcune: “Par stàr un póch insiém (col nòstar bèl dialèt)”di Muzio Chiarini, “Arìva al domìla” di Alfio Finetti , “Al vin di nòstar cò” di Giorgio Alberto Finchi sono opere  di cui è curatrice e “I settant’anni della Straferrara” di cui è autrice.
Ora siamo a tavola con il  Maestro … ed è un momento importante perché, come dice Maria Cristina, “stiamo parlando di un bambino ultranovantenne!”.  Preciso che tutto quello che scriverò si può approfondire nell’importantissima autobiografia del Maestro Celada “La mia vita con il mandolino (Ed.arstudio C)” curata da Maria Cristina Nascosi e a lei dedicata. Dello “spirito vitale” di questo grande artista mi sono innamorato subito, appena ho assistito ad un evento culturale organizzato per celebrare la vita del Maestro Celada, al Risto-Bar “Io e vince” in Piazza Garibaldi 4/C ad Argenta (Fe), uno spettacolo di poesia, storia e goliardia.
“Mi sono ritrovata a contatto con grandi personalità e non ho più smesso di ricercare, imparare e riportare” dice Maria Cristina Nascosi. Mi colpisce la sua conoscenza della lingua dialettale e la sua accurata ricerca. Ora rivolgo una domanda al Maestro Celada: come le è nata la passione per la musica?

E’ stato grazie a mio nonno. Mio padre era un fascista. Un fascista molto convinto. Dopo che non era stato ritenuto idoneo ad appartenere al regio esercito, si arruolò volontario nell’esercito francese e finì a combattere sul fronte della Marna, tornando a casa malato. Poco dopo mio padre ci abbandonò e, a causa della grande povertà, ci riunimmo con il resto della famiglia materna di cui mio nonno era Pater Familias.  Mio nonno aveva aderito al partito di Filippo Turati, il fondatore del Socialismo Italiano. Mio nonno, Giuseppe Celada, era un uomo fiero delle sue idee, idee che gli hanno fatto perdere spesso il lavoro. Un giorno il suo padrone, il signor Navarra, si affacciò ad un balcone e rivolto a mio nonno lo provocò “Giuseppe, voi che siete socialista, ditemi: se non ci fossero i padroni chi vi darebbe il lavoro?” e nonno Giuseppe rispose: “ E voi ditemi: se non ci fossimo stati noi poveretti chi vi  avrebbe costruito quel balcone da dove parlate?”. Questo era mio nonno.

E’stato suo nonno ad insegnarle a suonare il mandolino?

Mio nonno suonava l’organetto, il fratello di mio nonno suonava la fisarmonica a bottoni. Intorno al fuoco ci radunavamo ad ascoltare le storie dei grandi e le cante. Appeso al muro c’era un mandolino che mio nonno aveva comprato perché, per un breve periodo, l’aveva suonato sua figlia, mia zia. Io iniziai a suonarlo e, non avendo il plettro, ho iniziato a suonarlo con il dente del pettine. Ero completamente autodidatta, non sapevo assolutamente le note ma come per magia riuscivo a riprodurre il motivo. A dodici anni presi alcune lezioni, che pagai con la sabadina (paghetta).

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Fino a diventare il primo mandolino dell’Orchestra a plettro “Regina Margherita” di Ferrara, poi diventata la “Gino Neri”. “Quel mandolino, che conservo come una reliquia, mi era stato più utile di un moschetto” scrive il Maestro nella sua autobiografia.

Durante la seconda guerra mondiale, in seguito dell’armistizio tra il governo Badoglio e l’esercito angloamericano, avvenuto dopo l’arresto di Mussolini, ero stato catturato dai tedeschi e portato nel lager perché mi ero rifiutato di entrare nella Repubblica Sociale Italiana.
Mentre ci deportavano, i compagni che erano con me erano caduti nella disperazione più totale, ma io sentivo che la musica era una fede e che mi avrebbe salvato.
Per esempio, una volta mentre cantavo “Freude, schöner Götterfunken”  un carceriere mi chiese incuriosito: “Di chi è quella canzoncina che stavi cantando?”
Io lo guardai dall’alto in basso e gli dissi: “Questa non è una canzoncina, ma è un’ ode di Schiller usata da Beethoven nella sua Nona Sinfonia.” 

Con Maria Cristina il Maestro Celada inizia un bellissimo discorso sui grandi direttori d’orchestra e sulla musica come energia salvifica e unificatrice. Rimango assorto nel sentirli parlare e raccontare, felice di questa opportunità.  Si vogliono veramente bene, come un un maestro e la sua allieva, come un padre con una figlia.
Il racconto prosegue con l’Argentina, la seconda patria del Maestro Corrado Celada …

Dopo la guerra mi sono trovato in una situazione economica disperata. Partii come emigrante verso l’Argentina qualificandomi artigiano mosaicista ( sì, mosaicista non musicista) perché era l’unica maniera di lavorare senza la tessera del partito. Perché non schierarsi politicamente? A vent’anni mi era stato richiesto di schierarmi e poi mi era stato chiesto di nuovo davanti a quegli inquietanti reticolati del lager e ora da “uomo libero” avevano il coraggio di chiedermelo ancora. Io rifiutai sempre, fedele a quel coraggio che mi ha insegnato mio nonno Giuseppe. Nell’Argentina di Eva Duarte, detta Evìta, nonostante la dittatura,c’ era un momento florido per l’ economia. Così, un passo alla volta, entrai nel mondo dello spettacolo e fu un grande successo, suonai e composi per le migliori radio argentine, per la discografia e addirittura per i film, come quello interpretato dalla grande “diva” cubana Blanquita Amaro. Ma ce l’hai la mia autobiografia? Ti scrivo una dedica.

Mentre usciamo, ancora in balìa dell’incanto, chiedo a Maria Cristina Nascosi: Come può un ultranovantenne avere questa lucidità e questa “forza di spirito”?  Cristina mi sorride e risponde sicura: “ Il segreto è ridere. L’ironia è intelligenza, per questo dà  fastidio. Se ridi non sei dominabile.”


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