Abbiamo incontrato Mirco Menna alla “Locanda Pincelli” per alcuni motivi molto semplici. Il primo è che lui a Selva Malvezzi ci vive e quindi, fedele al detto “casa-bottega”, spesso qui lo trovi. Il secondo è che questo posto spesso è teatro di serate meravigliose e speciali, come quelle della rassegna Selva in Jazz che, qualche anno fa, ha visto Mirco protagonista di un tributo a Paolo Conte, insieme a Jimmy Villotti, Antonio Marangolo, Mimmo Turone, Tiziano Barbieri e Vittorio Volpe cioè il gruppo originale del maestro. Chi c’era se lo ricorda. Il terzo motivo è che la “Locanda” di Danilo Draghetti è un luogo frequentato da amici e spesso le serate speciali nascono così, inaspettate, appena qualcuno imbraccia una chitarra e suona e Mirco, spesso, è tra quegli amici.
Mirco Menna, come mai a Selva Malvezzi?
Per quello che è il modo migliore di rispondere ad una intervista come questa: ero venuto a suonarci. Finito il concerto, come spesso succede qui, si è proseguito in un lungo e bellissimo dopo serata. Mi hanno invitato nella leggendaria cantina di Franco Paderni in arte il Pad, hanno tirato fuori il vino e il salame e quello che subito mi ha colpito è stato vedere una specie di ospitalità generale, tutti si muovevano come se fossero a casa propria. Se qui è così come sembra significa che ci si vive bene, mi son detto. Sono tornato tre mesi dopo per suonare un’altra volta e già sapevo che da lì a poco sarei venuto ad abitarci.
Mi sembra che la tua indole che viene fuori in canzoni come “Migranti”, inclusa nel tuo primo disco “Nebbia di idee”, così come la tua geografia di collaborazioni artistiche dalla Banda d’Avola al Parto delle Nuvole Pesanti, mostrano una persona sempre in movimento. È vero?
“Nostra patria è il mondo intero” per dirla come quella canzone di Pietro Gori, io sì sono spesso in giro, d’altronde fa anche parte del mestiere che faccio. Ti dico questa proprio perché è fresca, me l’ha appena scritta un’amica e ci abbiamo riso su: Errare humanum Est, ma anche Nord, Sud e Ovest … proprio nel senso che bisogna “andare”.
Certo esiste anche l’artista che non si muove mai da casa e che descrive bene quello che pensa dentro di sé riuscendo a descrivere un mondo. Un luogo dove capito spesso e volentieri è Volpedo, famoso per le pesche, che sono una meraviglia della natura, e per aver dato i natali a Giuseppe Pellizza (da Volpedo). I quadri del grande pittore, con il suo ideale di “arte per l’umanità” e “per l’idea”, internazionalista per dirla con un termine che non si usa più, sono sempre ambientati nei pressi di casa sua, è tutto lì… ha lavorato al “Quarto Stato” dieci anni, ritraendo i suoi compaesani, nella piazza del suo minuscolo paese, eppure riuscendo a descrivere così bene quello che avveniva nel mondo, l’avanzata fatale dei lavoratori, la lotta di classe.
Mirco dice: “Tommy lo sa già”. Dopo un po’ arriva un bel piatto di trippa. Io mangio cappellacci di zucca col ragù. Beviamo il Sangiovese della casa, il “Rosso Pincelli”. Hai iniziato il 2014 pubblicando alcuni inediti, poi invece sono usciti un libro e un disco “omaggio”, cosa è successo?
Ho iniziato con l’idea di pubblicare il nuovo album perché avevo le canzoni pronte, poi sono successe varie cose inaspettate e inaspettatamente belle ed è stato giusto dar loro la precedenza, d’altronde le cose migliori si fanno sempre per la voglia di farle, no? Io sono uno che comunque deve crederci in un progetto, non riesco a fare cose per convenienza ed essere ammiccante per forza.
Quest’anno ho pubblicato il libro “118 frammenti apocrifi” per Zona Editore, con le tavole originali di Giulia Pasa Frascari, una giovanissima artista di qui, di Selva, con uno sguardo e un tratto davvero notevoli e chi leggerà il libro l’apprezzerà senz’altro. Poi, sempre quest’anno, mi è stato proposto questo omaggio a Modugno, il disco “Io, Domenico e tu” e io l’ho fatto volentieri perché mi piace, direi in maniera ancestrale, mi piaceva suonarlo già da molto prima di incidere questo lavoro. Quest’anno ricorre il ventennale della morte e, visto che anche noi lo consideriamo il capostipite della canzone d’autore italiana e che ci ha lasciato un’eredità importante, abbiamo deciso di fare questo disco dal vivo, che tra l’altro è stato ritenuto meritevole di stare tra i finalisti della “Targa Tenco” 2014.
Dopo un po’ Tommy viene a fare due chiacchiere al tavolo con noi, nel clima amichevole della Locanda, dove non c’è differenza tra chi serve e chi viene servito.
Mirco, spesso ti si sente reinterpretare vecchi brani con una costante attenzione per la musica popolare che ricerchi direttamente sul campo, incontrando le persone. Come mai questa attenzione?
Il terzo disco, quello con la Banda d’Avola era fortemente connotato nell’area folk, insomma un disco con una banda siciliana non poteva che fortemente caratterizzarlo.
Però alcuni brani di quell’album, che puoi trovare sui dischi nella versione originale, non si possono definire come folk (almeno non per il significato che diamo a questo termine) ma nemmeno puoi negare che ci sia una matrice popolare da cui proviene la musica. Questo per dirti che è un mondo dai connotati incerti, mutevoli e multiformi, quello della musica leggera. Io sono molto legato al mio secondo disco “Ecco”, proprio per questo, per come è stato realizzato. I musicisti che hanno suonato sono amici bravissimi e abbiamo avuto tutto il tempo che volevamo per realizzarlo come ci è parso, senza temere il folk o l’antifolk o il contropop o che so io. Secondo me è venuto fuori un buon lavoro… e anche questa trippa è buonissima.
“Ecco” iniziava con un recitato di Fernanda Pivano su quel massacro che è stato il G8 di Genova. Come è nata questa importante collaborazione?
Quella poesia di Fernanda Pivano è nata di getto. Ci siamo incontrati in un locale a Bologna, con le chitarre per cantare, dopo la presentazione di un suo libro. Poi ci siamo visti a Milano due giorni dopo perché suonavo lì ed è venuta al concerto. Siamo diventati amici, lei voleva scrivere una canzone per me e anche io volevo che lo facesse, così è andata che mi ha regalato quel testo. Si parlava di Genova e io le raccontavo dell’orrore che avevo visto e che avevo composto “Ecco” su quei fatti. Lei sapeva benissimo di cosa si trattasse, oltretutto Genova era la sua città e d’impulso ha scritto quelle parole… Quando ho visto che avrei dovuto toccarle e piegarle alla “forma canzone” ho capito che non mi azzardavo e così le ho detto: “Nanda, perché non le reciti tu?” Abbiamo messo l’accompagnamento sotto che era la ripresa del riff del pezzo successivo arrangiato su un ritmo diverso. “Ecco” sarebbe stato il brano più importante di quell’album.
Un’altra persona che ho avuto la fortuna di incontrare è Claudio Lolli, abbiamo diviso il palco molte volte quando suonavo con “Il parto delle nuvole pesanti” e quando cantavo “Albana per Togliatti” nella suite degli “Zingari felici” mi veniva la pelle d’oca, lui è uno dei più grandi e merita molto rispetto, io gli voglio bene.
Questo progetto, “La palestra del cantautore”, nasce perché siamo convinti che la tavola imbandita, con degli amici, sia il luogo ideale dove un artista può trovare ispirazione, appunto “la sua palestra”…
Può essere vero, ognuno ha la sua, qualcuno va a cercarla in solitudine, magari in chiesa… io a volte ci vado in una chiesa vuota, per via del silenzio.
Ma poi mi piace ritrovarmi qui, nell’osteria, anche a rischio di sembrare caricaturale con i tempi che corrono, ma vedi ci sono quelle cose che non perdono mai di significato, anche se gli si mette il vestito nuovo accattivante a tempo con la moda, da qualche parte rimane un certo modo di fare antico, una fiammellina resistente accesa sempre. Affidare a una canzone versi non banali, chiedere attenzione alla musica, fa parte di questo. Apro una parentesi per dire che in questo senso amo Max Manfredi, per esempio, che già De Andrè definì “il più bravo di tutti” e che quest’anno ha dato vita al bellissimo album “Dremong”. Tornando a me dico che sì, non ho l’ansia da “scarico degli aggiornamenti”, molto mi piace dell’antico, come quelle parole che rimangono fisse nel tempo, sembrano non valere più nulla e non è vero… ad esempio, quella che descrive quello che farai tu: con tutte queste cose che ti ho detto stasera andrai a casa a “sbobinarle” dal tuo “registratore” per scrivere l’intervista … ma cazzo sbobini? E’ un modo di dire, un mondo che resiste solo nelle parole, però tu andrai e sbobinerai lo stesso. Che cosa, poi? Le parole di un cantante, figurati. Adesso cominciamo a dire dei tempi bui e tempestosi e siamo a posto. Guarda… facciamo onore al cibo, beviamo alla salute e finiamola qui, altrimenti ti tocca fare un lavoraccio.
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