Il Premio Tenco è cambiato. Perché chi non cambia è perduto.
Il Tenco è eterno come la musica, e noi, semplici fruitori di emozioni, siamo qui a raccontare questa edizione del “cambiamento”.
La riflessione è questa: la musica d’autore deve farti rivivere la tradizione ma anche stimolare il “tradimento” e l’innovazione, e quest’anno, il direttivo, rilancia la posta in gioco, elimando il “pesante” aggettivo “d’autore” nel titolo della rassegna.
Senza pregiudizi quindi, ci mettiamo all’ascolto di questa edizione 2021, così discussa e ricca di aspettative.
Si apre il sipario e via: ad Enrico Ruggeri, con la sua voce da rocker d’antan e l’immancabile giacca di pelle, è affidata la sigla, omaggio a Tenco che ci porta così lontano lontano nel tempo, nelle suggestioni di questa serata.
Subito dopo, come in risposta a chi dice che il nuovo Tenco è ormai un calderone tutto lustrini colorati e musica commerciale, una Sanremo 2 minore: tutti aspettano Madame (che non può partecipare perché malata) ed invece entra in scena Piero Brega, leggenda vivente.
Nella strada del Cantautore romano ci sono state tantissime deviazioni; dall’essere uno dei fondatori del circolo Gianni Bosio, al Canzoniere del Lazio, fino ai Carnascialia con Demetrio Stratos e Mauro Pagani, fino ad arrivare anche a smettere di suonare, visto che la sua impellenza sperimentatrice creava scandalo nel “rigoroso” panorama della musica popolare e non gli venivano conferiti i giusti meriti.
Per fortuna, questo non è successo, e Brega è ancora qui, per farci sentire la sua energia. Un rocker della musica popolare.
È il turno di Peppe Voltarelli, il trotamundos, premiato per il miglior album di interpreti.
Con il suo nuovo album “Planetario”, Peppe ci porta in giro per il mondo, portando sul palco dell’Ariston delle canzoni più che interpretate, stravissute. Joan Manuel Serrat, Vysockij, rivivivono sul palco, nella voce calda del menestrello calabrese; Voltarelli, eroe errante, Don Quijote dalle camicie sempre sgargianti si fa voler bene per la sua ricerca infinita, per la sua storia di contaminazioni, tra terre e popoli con la sua terra d’origine sempre nel cuore.
La chiusura del set è dedicata a Lucio Battisti (quest’anno con il premio Tenco a Mogol, è uno dei fil rouge dell’edizione).
A seguire, la consegna della targa al miglior album a progetto.
Ritira il premio Carlo Mercadante, musicista e patron dell’etichetta “Tobia Label”, che con molto amore ha dedicato al menestrello pugliese un disco di canzoni reinterpretare da giovani artisti emergenti.
È il momento dei fratelli Mancuso, e della targa al miglior album in dialetto.
I fratelli, cantori della Sicilia, con i loro antichi strumenti e le voci impregnate di stradine bianche, così ricche di sale e scenari popolari soleggiati, emozionano l’intero teatro.
“Se non avessi il canto, oggi per una via di spine, tu andresti scalzo”.
È un Te Deum popolaresco, ricco dell’ insegnamento di Giovanna Marini, grande riferimento per la ricerca musicale: l’alto e il basso, il sacro e il profano, il colto e il popolaresco, si incontrano e si scontarno in questo abisso profondissimo che è la musica della nostra tradizione.
È una liturgia particolare quella a cui assistiamo qui, ricca di suoni intensi e acuti. Per i venti minuti del loro set, siamo al sud del sud dei diavoli a dispetto dei santi, direbbe qualcuno.
Negli intermezzi di questa edizione c’è Gianni Coscia, il grande fisarmonicista Jazz, che dopo un dolcissimo siparietto con Antonio Silva (lo storico, vulcanico, presentatore del premio) ci regala Emozioni…. il classico di Battisti, in una versione strumentale e poi la bellissima e struggente la Radio a tarda sera, scritta insieme a Umberto Eco, quando erano ragazzini.
Ecco che arriva il “Cinema” di Samuele Bersani, vincitore della targa come miglior album dell’anno. Il Cantautore con la sua eleganza nei testi e la sua musica struggente e delicata fa il pieno di applausi all’Ariston.
“Non ha fatto canzoni brutte, quindi la sua musica è una canzone senza aggettivi, negativi” dice la giornalista Marinella Venegoni, riprendendo il tema principale di questa edizione del festival, e noi ci accodiamo ai complimenti per l’artista romagnolo, punto di riferimento indiscusso della musica italiana.
La sua simpatia e umiltà è contagiosa. Uno timido show man, intelligente e imbarazzato, una miscela che lo rende da sempre irresistibile.
Pixel, harakiri, mezza bugia, poi il leone e la gallina di Battisti, chiude il set En and Xanax e ci viene subito da pensare che, quando arriva Samuele Bersani, anche dopo uno dei suoi lunghi silenzi, insegna a tutti i colleghi come si fanno le canzoni.
Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, arriva, in chiusura di serata, un nome importante: Enrico Ruggeri.
La guest star della serata. Ruggeri che mancava da questo palco da 30 anni.. Da quando l’aveva infiammato da giovanissimo, con gli indimenticati Decibel di Contessa.
Ruggeri con giovani e bravissimi musicisti e quella voce rock, è incontenibile: punk nel cuore.
Enrico quindi si dimostra ancora alfiere combattivo della musica rock Italiana e si lancia in uno show variegato, di pezzi nuovi e pezzi storici, e il tutto finisce in standing ovation. Bentornato a casa.
Siamo al resoconto della prima serata e ci permettiamo una piccola chiosa: se queste sono le premesse, viva il cambiamento. Viva la canzone senza aggettivi, che distrugga le categorie, lasciando spazio solo alle emozioni.