Intervista a Icio Caravita

In costante movimento tra l’Emilia dell’adolescenza e l’America dei sogni

Dietro al Duomo di Ferrara c’è una stradina bellissima che si chiama via Guglielmo degli Adelardi. Qui c’è una tappa quasi obbligatoria per chi non è stato mai stato a Ferrara. Un luogo di cui vantarsi per i ferraresi, “Al Brindisi”. Noi ci troviamo con Icio Caravita in questa antichissima enoteca verso mezzo giorno, durante i giorni del Buskers Festival.  Riempiamo il nostro bicchiere di vino “Il Verginese ” di Roberto Gennari e ci gustiamo la città che piano piano si accende. Io posso dire solo di essere contento di incontrare Icio che è uno che nella vita fa quello che gli piace. E sono pochi. Se pensate poi che veniamo dallo stesso “pianeta”, un paese di provincia dove spesso è difficile trovare persone disposte a vivere i propri sogni ed uscire dalla routine, potete capire l’importanza che ha per me questa intervista. E iniziamo subito da qui. Icio comincia a raccontare:

“La musica è stata una salvezza. La mia via di fuga. Cercavo l’America ma qui, in un piccolo paese della periferia ferrarese, non è facile trovarla. E allora cerchi luoghi dove ci sono persone che condividono con te un percorso. Ora sono a Milano e sto bene, anche se poi il sogno americano rimane un’illusione. Qualcuno cantava “Milano non è l’America”, ti ricordi quei rockettari?!

Capisco, Milano non è l’America ma non è neanche la periferia da cui veniamo. Perché hai scelto di vivere a Milano?

Nel caso mio non è stata una scelta, me la sono trovata addosso. In realtà sono sempre stato incosciente e sono sempre andato dove credevo fosse giusto per me.
Mi sono mosso verso un mondo dove puoi parlare con chi ti è affine. Dove sei capito senza dover mettere mille postille per dare un senso a quello che fai. Il rapporto con Milano è in realtà una cosa recente.
Dopo che ho mollato il Conservatorio, che ho frequentato dopo le scuole medie, ho vissuto vari periodi, ho girato parecchio prima di arrivare a Milano.

Non vedi neanche lì il tuo futuro?

No, neanche Milano è la mia meta finale.Forse perché non ci sono mai entrato a piè pari, ho sempre tenuto un piede anche qua, da queste parti e anche in altri luoghi ancora.
La mia testa ha sempre viaggiato verso “l’isola che non c’è” proprio per la ragione che dicevo prima, perché ho sempre avuto il desiderio di fare la quello che mi piace nella vita, quello che sto facendo e che spero di fare ancora. Con tutti i soldi che ho speso in affitto potevo comperarmi casa a Milano e invece non ce l’ho, ma d’altra parte non ce l’ho nemmeno qua…chissà dove andrò a finire!

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Federico Pellegrini è armonicista e cantante dei The Mad Tones.  Mentre mangiamo racconta fiero della storia secolare del locale e poi ci parla anche di tutti gli strumenti, etnici e non, che pendono dalle pareti; il suo apporto personalissimo in quest’osteria storicissima è davvero divertente. Mantiene viva la tradizione artistica secolare di questo luogo con la sua passione. Daniele, invece, è un giovane sommelier che ci serve i vini spiegandoci paziente la loro origine mentre noi continuiamo a chiacchierare. Per accompagnare i cappellacci di zucca al ragù scegliamo una bottiglia proveniente dai vini del Bosco Eliceo. Icio, cosa ti lega “Al Brindisi?”

“Al Brindisi” sono arrivato nel periodo del Conservatorio. Quando facevo buca da scuola venivo qui. Ho conosciuto Federico e con lui rimanevo giornate intere a parlare di musica.
Avrei voluto che anche qui, a Ferrara, ci fosse stato un luogo dove fare veramente “baracca”.
Forse questo manca ancora a Ferrara. Secondo me molti ferraresi non capiscono veramente la loro città. Come se non fossero neanche nati qui, non si accorgono della bellezza che li circonda. 

Forse è perché hanno un occhio troppo abituato e quindi non si accorgono più della bellezza che lì circonda?

Non so, sarà, forse è anche il fatto che io questo mondo l’ho visto (e anche cantato) sempre “dalla fine di quello stradone” che portava dal mio paesino a Ferrara.Non mi sono mai abituato alla bellezza. Io vedo questa città con occhio romantico.Come per l’ultima edizione del Buskers Festival. Una sensazione bellissima, davanti alla Cattedrale illuminata, con la gente tutt’intorno come in un’arena, a cantare le mie canzoni. Quale palco può darti una sensazione così? Hai una fortuna così e non te ne rendi conto?

Usciamo fuori dal locale e ci affacciamo nella famosa stradina. Si respira il clima del festival. I Buskers sono alla loro 27esima edizione e tu ne hai fatti parecchi

Festival così sono importanti perché la strada comunque è fantastica. I festival infatti sono criticati dai puristi dell’arte di strada, ma è una cosa che non capisco. Dicono che sono sfruttati, che su di loro si fa business, ma quello che avviene non mi sembra però che sia una cosa così scandalosa, no? Sei in un posto bellissimo, in un festival ben organizzato a fare quello che “dovrebbe” piacerti.
Secondo me questa lamentela deriva da una mentalità sbagliata che manca della forza per dire: questo è il mio lavoro, qualunque sia la fatica da fare. Io suono sia sui palchi e sia in questa situazione perché mi diverto. La strada è una palestra importantissima, fisica e mentale.

Mi sembra che il messaggio che veicola il tuo modo di suonare è di un artista capace di scendere giù dal palco anche con i testi e le azioni, non solo con gli strumenti.

Si, ma solo perché non potrei fare altro, sono cose che secondo me non si scelgono.
Le parole vanno studiate, certo, ma poi è l’istinto che ti guida, cioè: di cosa dovrei raccontare? Dovrei parlare di questa valle che dicono che sia la più inquinata d’Italia?
Io non lo so, non la vedo così … e anche se lo so non mi va di descriverla in questi termini, preferisco essere sognatore e quindi racconto dello scorcio, delle belle luci, del dialetto, dei vecc.
In questo mi sento vicino all’osteria, a quella poetica.

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Questa tua costante ricerca musicale ti ha permesso di vivere sempre a stretto contatto con i musicisti, anche con quelli importanti nella storia della musica. Posso chiederti, come è stato il tuo rapporto con il mercato?

Il mercato è un mercato che non c’è, non c’è ancora stato e non so se ci sarà.
E queste sono cose che cambiano in un secondo, se sei lì dove le cose avvengono. Io, a pensarci ora, sono lì che ci provo da un sacco perché in fondo mi piace starci, senza mai fare troppo il ragionamento “devo fare questo per arrivare lì o perché “funziona”.
Questa forse è anche la spiegazione per cui a livello di mercato non ho mai inciso (ho comunque un disco “vero”, praticamente finito … l’anno prossimo proverò a lanciarlo su sto benedetto mercato che non c’è e ti farò sapere come è andata, ok?!). Forse è colpa di quel po’ di arrivismo che mi manca. Ma le motivazioni possono essere tante e non sono io a doverle trovare. Ho la fortuna di suonare e sono contento.  Se posso cantarti le cose che ho scritto lo sono ancora di più.

Vai al sito www.tommasogesuato.netwww.iciocaravita.it.

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