Ogni tanto il piccolo Davide batte il grande Golia.
È notizia recente che, dopo anni di dispute legali, Busta Rhymes abbia finalmente riconosciuto la co-paternità del brano Genesis (disco di platino nella hit parade statunitense nel 2001) ai musicisti italiani Bernardo Lanzetti e Piero Canavera. Una svolta importante per il riconoscimento dei diritti d’autore italiani in ambito internazionale. Il famoso brano del rapper newyorkese è nato dal campionamento di un’intera strofa di Cosmic Mind Affair, lavoro del gruppo rock progressivo italiano Acqua Fragile che, nel 1974, apriva l’album titolato Mass – Media Stars. Lanzetti e Canavera arrivano, dunque, dove non era stato possibile per Albano che, dalla famosa querelle con Michael Jackson, uscì con un bel nulla di fatto (a nessuno dei due brani in tenzone fu riconosciuta l’originalità). La vittoria legale dei due musicisti italiani è una notizia positiva, vista la caparbia carriera musicale alle spalle dei due trionfanti (Lanzetti fu dal ’75 al ’78 voce della P.F.M).
Oltre le diatribe legali la musica italiana, ogni tanto, è stata ispirazione inaspettata per alcuni grandi artisti stranieri. Non stiamo parlando di “capolavori” del trash, come i brani in italiano di David Bowie, capace di proporre una orripilante versione “reggae” di Volare di Modugno, pagando poi il contrappasso incidendo una versione di Space Oddity, tradotta da Mogol in Ragazzo Solo, Ragazza Sola. Questi brani non furono certo i capolavori del Duca Bianco.
Sicuramente migliori sono le produzioni di Mike Patton dedicate al nostro bel paese; nel 2010 con Mondo Cane, album che contiene cover di canzoni italiane degli anni ’60 e ’70. Qui la voce del leader dei Faith No More e dei Mr. Bungle, si esprime accompagnata da un’intera orchestra italiana. Il progetto nacque dalla collaborazione tra Mike Patton e Roy Paci.
Un altro tributo al nostro paese rivolto da un’ artista straniero di grande fama è quello realizzato da Erlend Øye , leader dei Kings of Convenience, che dal 2012 è residente a Siracusa, in Sicilia.
Al brano del 2015, dal titolo “Estate” (una leggera canzoncina estiva, piena di chitarrine e balletti indie-vintage) è seguito, nel 2024, un intero album in italiano eseguito dal cantautore norvegese con La Comitiva, insieme a musicisti italiani.
Le isole dettano legge nell’infatuazione estera verso il nostro paese.
La collaborazione tra il violoncellista olandese Ernst Reijseger, maestro tra jazz e sperimentazione e la musica di Tenore e Cuncordu di Orosei inizia sul finire del secolo scorso così che i suoni della tradizione arcaica sarda entrano in contatto con la musica contemporanea. Il regista tedesco Werner Herzog, affascinato da questo strano connubio, ha usato la loro musica come colonna sonora di due importanti documentari: The White Diamond del 2004 e The Wild Blue Yonder del 2005. La musica di questo progetto si può ascoltare nel disco Requiem For a Dying Planet del 2006.
Concludiamo questa piccola e incompleta carrelata di tributi “esteri” all’Italia provando ad entrare in un annosa faccenda, che tra mito e realtà, torna sempre a stimolare e infammare gli animi dei favorevoli e contari: ma è vero che i Beatles si sono ispirati alla musica napoletana? Partiamo da un dato reale.
Vince Tempera, in un’intervista di un pò di tempo fa al corriere della sera, ricorda le somiglianze tra Munasterio di Santa Chiara e Yesterday del Fab 4. Specificando però che probabilmente si tratta solo di infatuazioni tra canzoni leggendarie, non di plagio, essendo la musica napoletana famosissima in tutto il mondo.
Un altra verità l’apprendiamo dal godibilissimo libro di Giorgio Comanschi “A Bologna con Lucio Dalla“:
“Red Ronnie, ai tempi della fortunata trasmissione Be Bop a Lula andò a intervistare Paul McCartney a casa sua e gli chiese chi conoscesse fra i cantanti italiani. Lui rispose – Marino Marini – mostrando su uno scaffale tutti i suoi dischi. (Marini fu un grande cantante “da night club” specializzato negli standard internazionali e nei grandi classici della canzone napoletana – N.d.r. ). Marini era l’idolo di papà McCartney. E in più, George Harrison, in una delle sue tante biografie, racconta che da giovane andava ad ascoltare Marino Marini per capire i segreti della chitarra di Bruno Guarnera.”